PROCESSO AI 25 MANIFESTANTI - Le motivazioni

7. Il Vertice G8

Il Vertice G8

1. Come si è già rilevato, i fatti oggetto del presente processo si sono verificati a Genova nei giorni 20 e 21 luglio 2001 in occasione di manifestazioni popolari di protesta contro il Vertice G8 che si stava contemporaneamente svolgendo nella zona più centrale della città.
Come è del tutto notorio ogni anno i Capi di Stato e di Governo dei sette Paesi più industrializzati del mondo e, da alcuni anni, anche della Russia si riuniscono a turno in uno Stato e in una città ogni volta diversi per trattare problemi concernenti l’economia mondiale, i rapporti tra di loro e con gli altri Paesi, in alcuni casi la cancellazione del debito dei Paesi più poveri, lo sviluppo futuro.
Tali e tanto rilevanti sono le decisioni che questi “grandi della terra” assumono in occasione dei vertici, che gli stessi sono accompagnati da una fortissima attenzione dell’opinione pubblica e dei mezzi di comunicazione di massa e, da alcuni anni, anche dalle proteste di diverse organizzazioni politiche, ambientaliste, civili che si oppongono in base a diversi presupposti alla cosiddetta “globalizzazione” dell’economia.
Per evidenti ragioni le Autorità decisero di far svolgere il Vertice a Palazzo Ducale nel cuore della città di Genova.
Intorno venne istituita (con ordinanza del Prefetto di Genova del 2 giugno 2001) una zona di massima sorveglianza, definita comunemente come “zona rossa”, interdetta all’accesso di persone non residenti o comunque non interessate ai lavori del G8.
La zona rossa venne circondata e chiusa da sistemi di protezione fisica: grate, container e simili che unitamente al presidio delle Forze dell’Ordine dovevano garantire il tranquillo svolgimento dei lavori e l’incolumità dei partecipanti.

2. Così come avviene in ogni occasione anche in quei giorni a Genova si diedero appuntamento organizzazioni e persone provenienti da tutto il mondo e di diversa idea politica.
Senza alcuna pretesa di esaustività si può ricordare che una gran parte delle manifestazioni alternative a quelle ufficiali erano organizzate sotto la sigla distintiva dapprima del PATTO DI LAVORO e poi del GENOA SOCIAL FORUM (GSF) associazione di fatto che rappresentava l’unione temporanea di oltre mille organizzazioni non governative, sigle sindacali e politiche, associazioni religiose e civili che si riconoscevano in azioni comuni di approfondimento e di protesta.
Il programma delle manifestazioni (denominato “Public Forum” mondiale) era stato da tempo studiato e preannunciato alle Istituzioni pubbliche con le quali erano state intavolate trattative nell’intento di consentire il libero e pacifico esercizio dei diritti di riunione e di manifestazione del pensiero senza che il Vertice dei Capi di Stato e di Governo venisse concretamente messo in pericolo.
Infatti al fine di essere in grado di sensibilizzare la cittadinanza attorno ai temi trattati da ciascuna organizzazione appariva necessario che le Pubbliche Autorità garantissero alle associazioni e più in generale alla società civile ampi spazi di espressione, progettazione e manifestazione, senza restrizioni immotivate del diritto a manifestare.
Le associazioni facenti capo al GSF dal canto proprio si impegnavano a coordinarsi per favorire il massimo passaggio di informazioni e a “rispettare tutte le forme di espressione, di manifestazione e di azioni dirette pacifiche e non violente dichiarate in forma pubblica e trasparente” (così il documento di presentazione del GSF del 20 gennaio 2001).
Grazie a specifici stanziamenti, previsti peraltro solo nel luglio (cfr. la L. 3 luglio 2001 n. 251), ai manifestanti vennero accordati spazi pubblici e strutture, come scuole o stadi, dove poter alloggiare e svolgere le proprie attività.
Queste ultime inoltre erano state dettagliatamente organizzate e preannunciate alla parte pubblica onde consentire la predisposizione di adeguate misure di sicurezza.

3. Il programma elaborato dal GSF, “Un mondo diverso è possibile”, era inteso a dare il massimo risalto e visibilità esterna ai temi ed alle proposte alternative al G8.
Come risulta dalle parole del “portavoce” del GSF Vittorio AGNOLETTO (da “Genova. Il Libro Bianco” documento prodotto dalla difesa al n. 4.11) scopo del “movimento” era tra l’altro sostenere “la lotta alla povertà, l’impegno contro la fame nel mondo, la campagna per l’accesso all’acqua potabile, gli studi per la riconversione produttiva delle fabbriche di armi, la cancellazione del debito dei Paesi poveri, la campagna per l’accesso ai farmaci, quella contro gli organismi geneticamente modificati, il rifiuto della guerra come soluzione dei conflitti, l’impegno ambientalista e gli accordi di Kyoto” argomenti sostenuti da “elaborazioni e proposte precise”.
I manifestanti sentivano di rappresentare “le moltitudini” dei poveri e sui loro striscioni era riportato il motto “voi 8, noi 6 miliardi”.
4. Nell’ambito del GSF si era formato un “gruppo di 17 referenti d’area” o Consiglio degli Speakers (testi BOLINI, MORETTINI) rappresentativi delle varie realtà politiche ed associative nazionali e un Portavoce Unico individuato in Vittorio AGNOLETTO.
Per quanto nel GSF confluissero organizzazioni e gruppi esponenti di realtà e portatori di interessi della più varia natura (dai religiosi ai disobbedienti, dai Giovani Comunisti agli appartenenti ai Centri Sociali, dall’ARCI alle ACLI), gli stessi avevano raggiunto l’intesa di “coprire” con il logo GSF solo quelle manifestazioni che venissero accettate all’unanimità dai componenti del movimento.
Come è stato efficacemente chiarito dai testi BOLINI e AGNOLETTO, tutti i gruppi che si riconoscevano nel GSF non solo avevano titolo per non accettare una manifestazione proposta, ma, una volta che questa fosse stata decisa all’unanimità, ne portavano la responsabilità anche se non ne erano i diretti organizzatori.
Era stata l’opera di mediazione, definita come continua ed estenuante, a far raggiungere a componenti così diverse l’accordo su ogni singola manifestazione di protesta, perché senza questo unanime consenso nessuna di queste avrebbe potuto tenersi sotto “l’ombrello” del Genoa Social Forum.

5. La Conferenza degli Speakers teneva riunioni divenute mano a mano più frequenti fino a quella “permanente” tenutasi durante i giorni del Vertice (BOLINI).
Tramite i propri organi il GSF risulta aver avuto otto incontri ufficiali apicali con rappresentanti del Governo italiano e decine di riunioni operative concernenti i diversi aspetti logistici.
Il Genoa Social Forum viene definito in una memoria della difesa come “l’unico interlocutore del Governo e delle istituzioni per la preparazione delle manifestazioni e delle iniziative di contestazione pacifica del vertice del G8”.
Tra i rappresentanti del GSF e quelli delle Istituzioni era stato predisposto un sistema di collegamento continuo, finalizzato ad affrontare e risolvere i problemi che avrebbero potuto affacciarsi nel corso degli eventi.
Così, oltre agli incontri istituzionali a livello locale o centrale erano numerosi gli esponenti politici variamente coinvolti nell’organizzazione delle manifestazioni a tenere frequenti e diretti contatti personali e telefonici con alti funzionari di Polizia.
Non sono stati pochi i testimoni che hanno dichiarato di aver contattato o in alcuni casi di aver tentato di avere diretti contatti telefonici o con il Ministro dell’Interno o con il Vice Capo della Polizia anche durante lo svolgimento delle manifestazioni.
Quanto alle riunioni di preparazione la teste BOLINI ne ha ricordato una avvenuta il 30 giugno a Genova con il Capo della Polizia, il Prefetto, il Questore e vari funzionari.
In questa occasione venne raggiunto un accordo scritto circa l’organizzazione dell’accoglienza dei partecipanti, l’arrivo in città, i controlli alle frontiere.
Il GSF garantì la massima pubblicizzazione e la massima trasparenza delle iniziative per consentirne la valutazione e il controllo da parte delle Istituzioni.
In cambio chiese che, a differenza di quanto accaduto a GOTEBORG poco tempo prima, nessun manifestante venisse ferito.
A quel punto il Capo della Polizia garantì che le FF.OO. non avrebbero sparato sui manifestanti, affermando al contempo che era loro compito garantire la sicurezza di tre categorie di persone: i capi di stato, i cittadini di Genova e i manifestanti, titolari in democrazia del diritto di manifestare.
Massimiliano MORETTINI, presidente ARCI Liguria, ha ricordato un incontro con il Capo della Polizia DE GENNARO a Roma, presenti anche il Vice Capo della Polizia ANDREASSI, il Portavoce del Capo della Polizia SGALLA, il Presidente Nazionale ARCI e la responsabile ARCI per le questioni internazionali Raffaella BOLINI.
Durante l’incontro, avvenuto poche settimane prima del vertice, DE GENNARO voleva avere notizie circa la collocazione ed il percorso delle manifestazioni.
MORETTINI si era detto preoccupato per la possibilità di infiltrazioni da parte di estranei ma DE GENNARO lo aveva rassicurato dicendo che vi avrebbe pensato la Polizia e che era importante che il corteo marciasse continuamente.

6. Vi è da chiedersi come si presentavano le manifestazioni anti G8, quali obbiettivi, modalità e quale portata avrebbero avuto e, in particolare, se potessero dirsi fondati i timori di disordini che agitavano la vigilia.
È ancora il documento di presentazione del gennaio di quell’anno che descrive sinteticamente le manifestazioni come segue: il 19 luglio la manifestazione dei migranti, il 21 un enorme corteo di popolo, per il 20, giorno di inizio del vertice, era prevista “una giornata di assedio agli otto grandi per liberare una città e un mondo sotto sequestro. L’assedio si caratterizzerà con molteplici forme di manifestazione e di disobbedienza, dal corteo dei lavoratori in sciopero alle veglie di preghiera e ai digiuni, dai sit-in ai tentativi di invasione della zona rossa. Ribadiamo la scelta di non toccare la città e di non attaccare persone, neppure se in divisa”.

7. Vi sono ancora da ricordare due aspetti.
Il primo è che il movimento “no global”, il GSF, interpretava la creazione della Zona Rossa come concreta limitazione al diritto di manifestare il pensiero e quindi di esprimere una critica all’operato dei partecipanti al Vertice G8.
Le reti poste a protezione della zona rossa erano intese come il “muro della vergogna”, qualcosa di estraneo alla città e che la divideva, così come la politica degli otto grandi divideva il mondo, in “centro” e “periferia” favorendone una minima parte e provocando immense difficoltà alla rimanente.
Nelle dichiarazioni della vigilia era la “rete” ciò che doveva essere abbattuto, eliminato, attaccato e non le persone “neppure se in divisa”.
Il secondo aspetto da ricordare è che nei giorni precedenti le manifestazioni si verificarono singoli episodi che fecero crescere la tensione.
Così il 16 luglio alla caserma dei Carabinieri di San Fruttuoso venne recapitato un plico contenente una bomba che, esplodendo, feriva un militare.
Il 17 luglio i militari scoprivano celata sotto ad un camper parcheggiato vicino allo stadio Carlini una valigia contenente un’altra bomba che venne prontamente disinnescata e resa innocua.
Fin dai mesi precedenti i giornali riportavano con grande risalto notizie che alimentavano preoccupazione circa lo svolgimento del Vertice e delle manifestazioni anti G8.
A febbraio l’onorevole FRATTINI, presidente del Comitato di Controllo sui Servizi Segreti, aveva ipotizzato l’esistenza di “una rete di attacco, una rete internazionale di disturbo e probabilmente aggressioni” invitando le istituzioni a cessare “la tolleranza verso le prove generali di attacco al G8” e ricordando che in Italia “i rischi di attacchi di terrorismo islamico fondamentalista restano sempre alti” e questo suo intervento era stato ampiamente riportato sui quotidiani nazionali (cfr. “Genova Il Libro Bianco”, rassegna stampa - scheda – prima del vertice, pag. 15, prod. difesa 4.11).
Lo stesso FRATTINI aveva espresso critiche anche all’operato del Sindaco di Genova che “farebbe meglio a non incoraggiare le prove generali concedendo ai contestatori persino i locali comunali” (Panorama 8 marzo 2001, citato nel documento di cui sopra).
Pochi giorni dopo, il 12 aprile, il settimanale Panorama riprendeva una dichiarazione di G. AMADORI “la nostra intelligence, con cinque mesi di anticipo ha già preparato un grafico del corteo” e ”una precisa analisi riservata del fenomeno antagonista, rivelandone anime e strategie di lotta” (“Genova Il Libro Bianco” pag. 17).
F. GRIGNETTI su “Stampa Nord Ovest” del 13 aprile riferisce “il SISDE: un piano contro il G8, i terroristi del Nipr rivolgono al popolo di Seattle un appello ad abbandonare le forme di antagonismo per passare alla lotta armata” (ibidem pag. 17).
A voci più moderate che invitavano ad evitare lo scontro, rivendicando la natura pacifica ed ambientalista del movimento (La Repubblica del 17 febbraio) facevano eco affermazioni più nette e allarmistiche come quella de Il Giornale che il 5 giugno titola “Assalto al G8 anche con gli alianti. Il movimento anarchico ha chiamato a raccolta”.
“G8, gli hackers attaccano un ministero italiano, il piano di sicurezza dovrà essere riscritto” (Corriere della Sera 2 luglio).
“Genova, tensione in centro, gli artificieri fanno saltare un’auto” e “Allarme per duemila irriducibili pronti a tutto” (Corriere della Sera 10 luglio).
“15 mila uomini per la sicurezza. Tra loro anche specialisti della guerra nbc, ovvero nuclearebatteriologica- chimica. Una batteria missilistica” (Corriere della Sera 12 luglio).
Il quotidiano “Libero” del 17 giugno riportava l’opinione di Giorgio FELTRI secondo cui “il popolo di Seattle è un popolo di criminali” e il 21 giugno M. BOTTARELLI riferiva che “il governo offre tre miliardi per accoglierli, ma gli ecoteppisti minacciano di usare le armi” (tutte le citazioni si leggono in “Genova Il Libro Bianco” pag. 19).
Diversi testimoni (tra i quali CASARINI e BOLINI) e il documento presentato dal GSF al Comitato Parlamentare di Indagine (cfr. prod. difesa 4.9) hanno ricordato gli “scenari apocalittici, del tutto fantasiosi” che “presunte relazioni dei servizi segreti” riprese con “costanza impressionante” dai media avrebbero disegnato: “bombe al sangue infetto, poliziotti usati come scudi umani”, attentati terroristici, l’intenzione delle frange più estreme dei manifestanti di colpire duramente le Forze dell’Ordine.
Veniva diffusa anche la notizia dell’impiego in piazza di circa tremila persone dei corpi speciali dell’esercito.

8. La mattina del 18 luglio circa trecento Agenti si recarono presso lo stadio Carlini per svolgere un controllo.
La struttura era destinata ad ospitare i manifestanti che il 20 avrebbero preso parte al corteo delle Tute Bianche.
La relazione di servizio del V.Q.A., Funzionario DIGOS, Luciano SORICELLI (prod. difesa 4.6) ricorda come gli Agenti si fermarono davanti al cancello chiuso e solo dopo una trattativa con Luca CASARINI, definito esponente dei gruppi sociali, una delegazione di cinque Funzionari faceva ingresso nel sito.
Il controllo era diretto a verificare la fondatezza di una segnalazione proveniente dall’Amministrazione Comunale relativa a danni ad infisse e a grate.
L’ispezione, della durata di circa un’ora, venne accompagnata da giornalisti e da legali, durante la stessa venne constatata la presenza di circa cinquecento manifestanti.
CASARINI mostrava il materiale (plexiglas – scudi di plastica – protezioni e imbottiture per braccia e gambe) che sarebbe stato usato nel corso della manifestazione.
Il controllo si estese ai locali muniti di grate ed infissi ed ebbe esito negativo.
Numerosi testimoni hanno ricordato questo controllo, la circostanza che durante lo stesso siano stati esibiti ai Funzionari di Polizia i mezzi di protezione personale di cui sopra, senza che venisse mossa alcuna obiezione sul loro uso durante la manifestazione né che alcun oggetto venisse sequestrato.
Durante le operazioni non vennero rinvenute armi proprie o improprie.
Dell’ispezione esistono anche documenti filmati (cfr. infra capitolo VIII parte 1, paragrafo 5).
9. I fatti oggetto del presente procedimento avvennero nei giorni 20 e 21 luglio 2001, dato che la manifestazione del giorno 19, quella dei MIGRANTES, si svolse a detta di tutte le fonti in un’atmosfera pacifica e festosa alla quale non furono estranee neppure le Forze di Polizia comandate di servizio a tutela dell’ordine pubblico.
Venerdì 20 luglio invece si verificarono numerosi episodi di violenza alle cose ed alle persone, una sola parte dei quali accadde in occasione di manifestazioni di protesta organizzate.
Si tratta per quanto qui interessa maggiormente di fatti avvenuti in occasione del corteo organizzato dalle Tute Bianche che partendo dallo stadio Carlini e percorrendo la direttrice da levante verso ponente doveva raggiungere il limite della Zona Rossa.
Sulle caratteristiche di questa manifestazione e sui fatti ad essa connessi si dovrà ritornare più approfonditamente.